Origini del counseling

Il termine “counseling” deriva dal verbo inglese “to counsel” che risale a sua volta al latino “consulere”, voce verbale composta da “cum” e “solere”, ovvero “alzarsi insieme” e traducibile in “venire in aiuto”. 

È usato per la prima volta con riferimento a “un’attività rivolta a problemi sociali o psicologici” nel 1908 dal riformatore sociale statunitense Frank Parson, autore del volume “Choosing a vocation” dedicato al tema del “career develop” (“sviluppo di carriera”).

Agli inizi del Novecento, negli Stati Uniti, alcuni operatori sociali utilizzano la parola “counseling” per indicare l’attività di orientamento professionale da essi svolta nei confronti dei soldati che rientrano dalla guerra e che necessitano di una ricollocazione nel mondo del lavoro. 

Il successivo sviluppo del counseling, negli Stati Uniti, avviene attraverso lo svolgimento di una serie di interventi professionali in ambiti diversi e determinati, dall’orientamento scolastico a quello professionale, dall’assistenza sociale a quella infermieristica. 

Ma è con lo sviluppo della psicologia umanistico-esistenziale, e in particolare grazie al contributo degli psicologi statunitensi Carl Rogers (1902-1987) e Rollo May (1909-1994) che il counseling comincia a configurarsi in senso moderno come “relazione d’aiuto”.

Nel 1951 la pubblicazione di “Client-centered-Therapy” di Carl Rogers apre la strada all’affermarsi della sua “terapia centrata sul cliente” e segna ufficialmente la nascita del counseling nel suo significato attuale.

L’approccio rogersiano centrato sulla persona costituisce una vera e propria rivoluzione rispetto ai precedenti orientamenti psicoterapeutici, spostando l’attenzione dal problema all’individuo, dal superamento del sintomo alla risoluzione di problemi specifici in una considerazione positiva ed evolutiva della persona, capace grazie alle sue risorse interiori di procedere autonomamente verso la propria indipendenza e individualizzazione.

Verso la fine degli anni Cinquanta il counseling arriva in Europa attraverso la Gran Bretagna e approda così anche nel nostro Paese.

Nel Regno Unito il counseling ebbe forti radici nel settore del volontariato e si diffuse in modo particolare nei consultori, nei centri giovanili e negli ambulatori con servizi a sostegno della persona in risposta a criticità sociali. Sempre in Gran Bretagna nascono le prime associazioni per la regolamentazione e la gestione della professione.

Ci si attiva a livello europeo per il riconoscimento ufficiale della professione nei vari Paesi e nel 1994 si costituisce con questo obiettivo la “European Association for Counseling” (EAC) che redige una definizione di counseling adottabile dalle diverse nazionalità. 

“Il counseling è un processo interattivo tra uno (o più) counselor e uno (o più) clienti – individui, famiglie, gruppi o istituzioni – che affronta in una modalità olistica temi sociali, culturali, economici e/o emozionali. Il counseling può occuparsi di affrontare e risolvere problemi specifici, favorire un processo decisionale, aiutare a superare una crisi, migliorare i rapporti con gli altri, promuovere e accrescere la conoscenza e la consapevolezza di sé e permettere di elaborare emozioni, pensieri, percezioni. L’obiettivo globale è quello di offrire ai clienti l’opportunità di lavorare, con modalità da loro stessi definite, per condurre una vita più soddisfacente e ricca di risorse sia come individui che come membri della società.”

Il counseling si configura fin dalle sue origini come un’attività distinta rispetto alla psicoterapia, orientata all’azione sociale piuttosto che alla cura della patologia individuale. Le comunità professionali del counseling e della psicoterapia, operano pertanto, già storicamente, in ambiti e contesti differenti pur essendovi tra loro una costante interazione e influenza. 

Il counseling in Italia

Negli anni Venti, in Italia, con il Regio Decreto 21 novembre 1929, n. 2330, si costituiscono formalmente una serie di attività di assistenza sociale, a carattere del tutto volontario. Tali attività assistenziali costituiscono un primo esempio di counseling nel nostro paese. 

Negli stessi anni nascono le prime scuole-convitto per assistenti sociali. Gli istituti sono riservati esclusivamente a studenti di sesso femminile e solo negli anni Cinquanta saranno aperti anche a diplomati di sesso maschile.

Negli anni Settanta alcune scuole di formazione in psicologia attivano corsi di formazione per professionisti che operano nell’ambito della relazione e che tuttavia non hanno ancora una definizione di competenza.

Negli anni Novanta sorgono le prime associazioni di Counseling che si propongono come obiettivo di promuovere la professione, definirne l’identità e regolamentarne l’esercizio. 

La Legge 18 febbraio 1989 n.56 prevede che il Counseling, in quanto tecnica di intervento, sia esclusa dall’ambito della psicoterapia. La definizione di counselor comincia dunque a essere utilizzata nell’ambito del lavoro.

Nel 1993 si svolge a Montecatini il primo congresso europeo delle scuole e dei professionisti del counseling. Ancora pochi gli italiani presenti, l’ASPIC, alcuni gruppi rogersiani e la SICIM (Società Italiana di Counseling in Medicina)

Nel 2000 il CNEL – Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro – inserisce il Counseling tra le professioni non regolamentate e riporta nel IV Rapporto di monitoraggio sulle Associazioni rappresentative delle Professioni non regolamentate per la prima volta due associazioni di Counseling, l’AICo e la SICo. Nel corso del decennio ne nascono altre e nel 2009 nasce AssoCounseling, associazione attualmente trainante per tutta la categoria.

Il percorso di regolamentazione della professione di counseling, a lungo fortemente osteggiato in Italia da alcuni Ordini territoriali e Associazioni di categoria di psicologi, approda nel 2013 a una conquista storica con l’approvazione della Legge 14 gennaio 2013, n.4 recante “Disposizioni in materia di professioni non organizzate” che riconosce e disciplina le professioni non organizzate in ordini e collegi, fra cui quella di Counseling. 

Tuttavia il counseling in Italia è al momento una professione non regolamentata e priva di un Ordine professionale e lo Stato non ne indica i requisiti minimi per l’esercizio (come avviene invece per le professioni regolamentate)

“La legge affida alle libere associazioni professionali, organizzazioni a carattere privatistico e adesione volontaria, il compito di valorizzare le competenze dei professionisti a esse iscritti attraverso il rilascio di un’attestazione di qualificazione professionale che agevola la scelta e la tutela del cittadino/utente”.

La nuova normativa offre, cioè, ai singoli professionisti la possibilità di farsi rilasciare da un’associazione professionale un attestato di qualità e di qualificazione professionale dei servizi (art.4 della L. 4/2013).

Ricordiamo che il possesso di un attestato di qualità e di qualificazione rilasciato da un’associazione professionale non costituisce tuttavia un requisito necessario per l’esercizio dell’attività di counseling.

La normativa prevede infatti l’esercizio autoregolamentato della professione, vale a dire che la qualificazione della singola prestazione professionale si basa sulla conformità della stessa alla “Normativa tecnica UNI” (direttiva 98/34/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, 2 giugno 1998)